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  • Immagine del redattore: Dr.ssa Francesca Colzani
    Dr.ssa Francesca Colzani
  • 17 dic 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Lo smartworking è una modalità temporanea di lavoro a cui ci siamo dovuti adattare. Come è possibile impostarlo in modo efficace garantendo la produttività dell'azienda e il benessere del lavoratore?



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Iniziamo dalle basi ricordando la definizione di smartworking, perché spesso questo termine viene utilizzato erroneamente come sinonimo di telelavoro. Sono infatti due modalità lavorative distinte che prevedono due contratti diversi con l’azienda di appartenenza, principalmente perché lo smartworking rappresenta una modalità di lavoro temporanea e non definitiva.


Smart working: vantaggi e svantaggi


Vengono spesso sottolineati i vantaggi dello smartworking, come ad esempio il risparmio temporale ed economico per recarsi al lavoro, la possibilità di conciliare la vita professionale con quella personale, la flessibilità dei tempi di lavoro, etc. Ma siamo sicuri che questa sia una realistica descrizione della realtà?

Proprio perché lo smartworking è una soluzione lavorativa temporanea può risultare maggiormente difficile per lavoratori e aziende trovare un assetto strutturale, ambientale e organizzativo efficace.


Approfondiamo individualmente questi aspetti:


Assetto strutturale

Non tutte le attività professionali possono essere tradotte in smartworking ma anche quelle che potenzialmente sono predisposte ad attuare questa modalità lavorativa sono risultate impreparate all’avvento del lockdown. È stato necessario per loro, ridefinire sin dalle basi un’organizzazione gestionale ed informatica che permettesse di avviarlo. Le modalità impostate in emergenza hanno poi richiesto correzioni e miglioramenti significativi per rendere efficace questa modalità di lavoro. Molte aziende di sono occupate di fornire ai lavoratori gli strumenti necessari ed oggi, per alcuni aspetti, sembrano aver raggiunto la sufficienza. È curioso ricordare che in questo periodo storico è stato fortemente utilizzato il termine “tecnostress” proprio per indicare una serie di fattori individuali e aziendali derivanti da questo improvviso avanzamento informatico. A conclusione di questo piccolo approfondimento è utile chiederci se abbia avuto senso rimandare troppo a lungo una serie di aggiornamenti strutturali che sapevamo già essere necessari. Gli imprevisti non sono per natura prevedibili ma c’è sempre un margine di anticipo e di prevenzione che ogni azienda può coltivare e definire attraverso interventi concreti che permetterebbero di reggere meglio ogni piccolo o grande evento.


Assetto Ambientale

Quanto è semplice poter definire negli spazi di casa l’ambiente adeguato a poter svolgere efficacemente il proprio lavoro? Molti esplicitano a priori la difficoltà di dividere gli spazi di casa districandosi tra le diverse esigenze di ogni componente della famiglia. Spesso infatti i lavoratori appartengono a nuclei familiari in cui anche i figli hanno esigenze scolastiche che meritano la stessa priorità in termini di svolgimento. E come si fa a conciliare spazi, risorse tecnologiche, connessione e altri specifici bisogni personali (ad esempio se il bambino frequenta la scuola primaria e ha bisogno dell’ assistenza del genitore)? E se anche non fossero presenti in casa figli con specifiche esigenze non è semplice e scontato trovare lo spazio e gli strumenti necessari allo svolgimento del lavoro. Eppure, avere uno spazio flessibile e funzionale da dedicare allo smartworking che garantisca la giusta connettività e privacy rimane la base fondamentale da cui partire per impostare un buono smartworking. Se prima ci lamentavamo che il lavoro venisse interrotto dalle chiamate continue dei colleghi, nel contesto casalingo il lavoro può essere interrotto in modo continuativo e disturbante da altrettante necessità che sono difficili da limitare. Alcune di esse richiedono solo un miglioramento individuale nella gestione del tempo e degli obiettivi, altre sono difficilmente arginabili proprio per gli aspetti contestuali dell’ambiente in cui il lavoratore è immerso, come i figli. Lavorare bene con lo smartworking, qualunque sia il presupposto di partenza, è possibile e sarebbe utile che ogni lavoratore rifletta attentamente su ogni aspetto che lo riguardi, anche quelli apparentemente meno importanti come la definizione di un ambiente adeguato.


Assetto Organizzativo

Uno dei vantaggi che spesso viene sottolineato a favore dello smartworking è proprio la possibilità di intersecare le questioni professionali a quelle legate alla vita quotidiana o inerenti alla gestione della casa. Perché non pensare di caricare la lavatrice prima di cominciare o di concludere una videochiamata mentre mettiamo l’acqua sul fuoco per preparare il pranzo? Mischiare l’area personale e l’area professionale potrebbe essere un vantaggio ma rappresenta un potenziale rischio se non viene ben gestito, aumentando il livello di stress e malessere percepito. Alcuni presupposti che garantivano una buona produttività sul posto di lavoro devono essere mantenuti pur cambiando contesto.



Conseguenze di uno smartworking mal impostato


È importante anche mettere in evidenza i rischi e le ripercussioni personali e aziendali che derivano da un cattivo smartworking. I primi mesi di lockdown hanno richiesto un forte investimento di energie a compensazione delle mancanze strutturali che successivamente sono però state esaurite dall’azienda. Inizialmente si è quindi verificato un aumento considerevole delle ore di lavoro a scapito di un significativo dispendio di energie. Un intenso aumento di fatica percepita può capitare nel corso della carriera lavorativa, a volte causando esclusivamente un calo temporaneo nella redditività del lavoratore. Ma se tali fatiche vengono prolungate eccessivamente possono invece provocare sintomi maggiormente debilitanti come insonnia, ansia e stress, attacchi di panico e sbalzi d’umore. C’è quindi un alto rischio che il lavoratore possa essere compromesso in molteplici aree funzionali (cognitive, relazionale, emotive, attentive, etc.) compromettendo significativamente la sua efficacia professionale. È corretto sottolineare che questi aspetti abbiano un profondo impatto a livello aziendale dal punto di vista della produttività, con un conseguente enorme costo economico dovuto alle ore perse.



Come promuovere uno smartworking efficace?


E’ innegabile che la definizione di un luogo di lavoro idoneo con le dovute caratteristiche di privacy e riservatezza siano elementi imprescindibili, e spesso l’organizzazione di tali elementi porta ad un potenziale livello di stress altrettanto elevato come quello sperimentato e percepito sul luogo di lavoro. Le aziende oltre a definire in modo funzionale gli aspetti digitali e gestionali sono sempre più attente e predisposte a favorire la formazione dei propri collaboratori e la comunicazione tra di essi affinché vengano compensati efficacemente tutti gli aspetti che sono venuti a mancare da marzo 2020 con l’applicazione dello smartworking. Questa imprevista pandemia ha favorito un rapido sviluppo di alcune aree di lavoro che necessitavano da tempo di un forte restyling. La speranza è che questo aggiornamento, seppur faticoso, promuova nuove risorse e modalità lavorative funzionali alla produttività dell’azienda e al benessere del lavoratore. La strada è ancora lunga ma ritengo che la formazione continua e la consulenza specifica sulle aree da implementare possano portare definitivamente in questa direzione e permettere all’azienda di mantenere un costante livello di prevenzione e resistenza all’imprevisto o favorire una maggiore redditività.

 
 
 
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    Dr.ssa Francesca Colzani
  • 10 nov 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 16 nov 2020

Cos'è e come si esce dalla depressione


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Cos’è la depressione?


La depressione è una reazione fisiologica ad eventi della vita: essa è un momento di crisi spesso scatenato da lutti, fasi difficili, perdite, difficoltà della vita che però, allo stesso tempo, dà inizio alla rielaborazione psicologica che consente di superare il momento difficile e trovare nuove soluzioni. Questo tipo di depressione è detta “reattiva”. Quando però la fase depressiva si prolunga e acutizza, può diventare un disturbo psichico, a volte anche molto grave.

 


Quando la depressione diventa un problema


Quando i sintomi depressivi insorgono senza alcun motivo apparente e si prolungano nel tempo, si dice che la depressione è “endogena”. Questa forma depressiva, con cause genetiche e neurochimiche, richiede un trattamento specialistico immediato.




Quali sono i sintomi della depressione?


Le forme più leggere di depressione si manifestano con un abbassamento del tono dell’umore, sensazioni di tristezza, sensi di colpa, ansia, insonnia, diminuzione dell’autostima, ipercriticità, eccesso di dipendenza affettiva. Nelle forme più gravi e patologiche, la depressione colpisce il benessere psicofisico della persona: il passato e il presente sono vissuti con dolore, tristezza e mancanza di senso, mentre il futuro appare senza prospettive. Fisicamente, si soffre di emicranie ricorrenti, malesseri alle ossa, fino a un abbassamento della risposta immunitaria. Le forme più severe di depressione possono portare al desiderio e al tentativo di porre fine alle proprie sofferenze con il suicidio.



I tipi di depressione


Le modalità attraverso cui la depressione può manifestarsi sono numerose. Semplificando, è possibile differenziare: l’episodio depressivo minore (un unico episodio transitorio di deflessione dell’umore), dal disturbo depressivo maggiore, contraddistinto dalla stabilità e dalla maggiore pervasività della sintomatologia nonché dalla compromissione del funzionamento sociale e lavorativo. Il disturbo distimico, invece, è caratterizzato dalla presenza di umore cronicamente depresso, ma in forma meno grave (una sorta di permanente e accentuato malumore). Esistono poi disturbi depressivi che si manifestano in occasione di particolari eventi (ad esempio, la depressione post-partum che colpisce le donne nei mesi immediatamente successivi al parto) o che presentano particolari caratteristiche cliniche come nel caso dei disturbi bipolari in cui episodi depressivi maggiori vengono seguiti o preceduti da fasi di eccessiva e disordinata euforia (fase maniacale). Quando gli episodi depressivi tendono a recidivare, si parla di depressione ricorrente.



Come si cura la depressione?


E' possibile uscire dalla depressione? Anche se le cause che ne giustificano l'insorgenza possono essere varie, come lo sono i tipi di manifestazione, la depressione viene generalmente trattata sia livello psicoterapeutico che farmacologico con un’integrazione dei due metodi. Il percorso farmacologico comprende un periodo di adattamento alla terapia che varia dalle 3 alle 5 settimane e richiede il monitoraggio per tutto il trattamento. Parallelamente, il percorso psicoterapeutico permette di rielaborare le problematiche più o meno inconsce che stanno alla base della depressione. Il lavoro è finalizzato a rafforzare una maggiore conoscenza di sé e delle proprie potenzialità nella risoluzione della crisi depressiva.

 
 
 
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    Dr.ssa Francesca Colzani
  • 6 lug 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

L’EMDR è un metodo psicoterapico strutturato che facilita il trattamento di diverse psicopatologie e problemi legati sia ad eventi traumatici, che a esperienze più comuni ma emotivamente stressanti.



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E’ un approccio psicoterapico interattivo e standardizzato, scientificamente comprovato da più di 44 studi randomizzati controllati condotti su pazienti traumatizzati e documentato in centinaia di pubblicazioni che ne riportano l’efficacia nel trattamento di numerose psicopatologie inclusi la depressione, l’ansia, le fobie, il lutto acuto, i sintomi somatici e le dipendenze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’agosto del 2013 ha riconosciuto l’EMDR come trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati. Il riconoscimento ottenuto dalla OMS e da molte altre associazioni a livello internazionale



Cosa si intende per trauma psicologico?


Sono state date molte definizioni di Trauma Psicologico nel corso della storia, ma cosa si intende davvero con questo termine? Ci può venire in aiuto l’etimologia stessa della parola, che deriva dal greco e che vuol dire “ferita”. Il trauma psicologico, dunque, può essere definito come una “ferita dell’anima”, come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e che ha un impatto negativo sulla persona che lo vive.

Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intesa. Si possono includere in questa categoria eventi come un’umiliazione subita o delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia. Accanto a questi traumi di piccola entità si collocano i traumi T, ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. A questa categoria appartengono eventi di grande portata, come ad esempio disastri naturali, abusi, incidenti etc.

Nonostante gli eventi sopra descritti riferiti alle due tipologie di trauma siano molto differenti, la ricerca scientifica ha dimostrato che le persone reagiscono, dal punto di vista emotivo, mostrando gli stessi sintomi.

Non tutte le persone che vivono un’esperienza traumatica reagiscono allo stesso modo. Le risposte subito dopo uno di questi eventi possono essere moltissime e variare dal completo recupero e il ritorno ad una vita normale in un breve periodo di tempo, fino alle reazioni più gravi, quelle che impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell’evento traumatico.



Cosa succede dopo un evento traumatico?


L’essere stato vittima di un evento traumatico porta a conseguenze che possono essere riscontrabili non solo a livello emotivo, ma lasciano il segno anche nel corpo di chi è sopravvissuto a uno di questi eventi. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che le persone che hanno vissuto traumi importanti nel corso della vita portano i segni anche a livello cerebrale, mostrando, ad esempio, un volume ridotto sia dell’ippocampo che dell’amigdala. Queste scoperte, avvenute negli ultimi anni grazie all’utilizzo di strumenti di indagine sempre più sofisticati, gettano luce sulla stretta connessione mente-corpo. Ciò che ha un impatto emotivo molto forte si ripercuote anche a livello corporeo, quindi, risulta evidente che intervenire direttamente sull’elaborazione di questi eventi traumatici abbia un effetto anche la neurobiologia del nostro cervello.

Subito dopo aver vissuto un evento traumatico il nostro organismo e il nostro cervello vanno incontro ad una serie di reazioni di stress fisiologiche, che nel 70-80% dei casi tendono a risolversi naturalmente senza un intervento specialistico. Questo avviene perché l’innato meccanismo di elaborazione delle informazioni presente nel cervello di ognuno di noi è stato in grado di integrare le informazioni relative a quell’evento all’interno delle reti mnestiche del nostro cervello, rendendolo “digerito”, ricollocato in modo costruttivo e adattivo all’interno della nostra capacità di narrare l’accaduto. Ma cosa succede quando questo non avviene?

Alcune persone continuano a soffrire per un evento traumatico anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Spesso riportano di provare le stesse sensazioni angosciose e di non riuscire per questo motivo a condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. In questi casi, quindi, il passato è presente.

Questo quadro sintomatologico, che può arrivare fino a delinearsi in un Disturbo da Stress Post-Traumatico, è caratterizzato appunto dal “rivivere” continuamente l’evento traumatico, continuando a provare tutte le emozioni, sensazioni e pensieri negativi esperiti in quel momento. E’ proprio quando ci si rende conto che le reazioni sono di questo tipo e che la sofferenza è significativa che è necessario chiedere aiuto ad uno specialista.

Di seguito vengono riportate alcune informazioni importanti da tenere presente quando si ha a che fare con persone che sono state esposte ad un evento traumatico. Esse possono essere un valido aiuto per comprendere quali siano le risposte tipiche a seguito di un evento di tale portata e quando è necessario intervenire con un supporto specializzato.



Di cosa abbiamo bisogno quando subiamo un’esperienza traumatica?


1. Avere una persona con cui parlare dei propri pensieri e sentimenti. È importante considerare il fatto di aver bisogno di un aiuto di una persona di fiducia per superare il momento.

2. Cercare di mantenere la routine quotidiana, per esempio tornare al lavoro al più presto, anche se la capacità lavorativa sarà ridotta perché ci si potrebbe stancare facilmente.

3. Essere consapevoli che, anche se le reazioni e le emozioni sono forti, questo è normale.

4. Darsi il tempo necessario per riguadagnare le proprie forze.



Le reazioni durante e dopo l’incidente, che in realtà proteggono da un crollo psicologico, sono:

  • Senso di irrealtà – Si ha la sensazione di essere dentro a un film, le scene si svolgono come al rallentatore, i sensi sono acutizzati per fare una rapida valutazione dei pericoli presenti nella situazione, cercando delle vie d’uscita o altre soluzioni. Subito dopo l’esperienza traumatica, la realtà quotidiana attorno a noi può sembrare irreale o irrilevante, come se ci trovassimo sotto a una campana di vetro o in mezzo ad un incubo

  • Reazioni fisiche– Sono normali la tachicardia e il senso di nausea. In genere si sente caldo o freddo, oppure paura di stare da soli, bisogno di vicinanza, di un supporto e aiuto concreto


Alcune delle reazioni successive all’evento:

  • Pensieri intrusivi – Arrivano involontariamente pensieri, ricordi e immagini di quello che è successo. Compaiono soprattutto in momenti di rilassamento, per es. prima di dormire e si accompagnano di un senso di disagio.

  • Problemi di sonno – In genere il sonno è leggero, ci si sveglia spesso, si hanno degli incubi o sogni ricorrenti dell’evento.

  • Associazione con altri stimoli – È comune che alcuni stimoli ambientali, persone o situazioni richiamino l’evento in modo involontario. Questo è dovuto al fatto che l’evento viene associato ad altri fattori che provocano un certo malessere o ansia. Ovviamente lo stimolo da solo, se non venisse associato all’evento traumatico, non genera alcun disagio.

  • Difficoltà di concentrazione – Poca concentrazione in attività quale la lettura, la visione di un film, ecc.

  • Reazioni fisiche – Problemi di stomaco, senso di nausea, stanchezza.

  • Disperazione – È difficile accettare i fatti attuali e non si riesce a pensare al futuro in modo adeguato.

  • Colpa – Si ha senso di colpa ad esempio per essere sopravvissuti quando un’altra persona è morta o ferita gravemente. C’è una tendenza a colpevolizzarsi per non avere fatto a sufficienza. È comune dirsi: “Se io solo avessi…”

  • Vulnerabilità – Paura del futuro oppure impazienza e irritazione con gli altri, sopratutto con i familiari. Indifferenza verso cose che prima dell’incidente erano molto importanti per la persona. Questo a volte crea incomprensione con gli altri da cui scaturiscono ulteriori difficoltà.

  • Il significato della vita – Le persone pensano ripetutamente a quello che è successo per cercare di capire e dare un senso a quanto accaduto. Sono molto comuni pensieri riguardanti la vita e la morte e le cause che hanno portato all’evento traumatico vissuto. Ci si rende conto di essere estremamente vulnerabili e si è in apprensione rispetto all’eventualità che l’evento traumatico possa ripresentarsi nuovamente.


 
 
 
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